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Lo zazen per rompere il trucco delle illusioni e vivere una vita “in diretta”

«Lo spettacolo non è un insieme di immagini, ma un rapporto sociale fra individui, mediato dalle immagini» scriveva Guy Debord, a commento del nostro vivere quotidiano.
Che lo si voglia o meno, ci capita di indossare maschere tutti i giorni, oltre a quelle di figli, di genitori, di colleghi, di cittadini che la società ci riveste e di cui ci sentiamo responsabili.
Tra un’occhiata alla propria pagina social e il ricordo di qualche fiction o di qualche film d’azione, possiamo accorgerci di essere anche noi delle figure di teatro: quando ci chiedono chi siamo, spesso ci riferiamo ad un ruolo; un flusso di ricordi tristi, allegri, coinvolgenti che ci rendono degli eroi romantici, per il cui orgoglio combattiamo tenacemente, restando nella parte e trovando la nostra riga nell’intreccio con gli altri personaggi.
Il problema del nostro dramma, però, è che gli attori sono talmente immersi in esso da dimenticare chi c’è dietro quella maschera. Rimaniamo così sul palcoscenico invece che vivere la nostra vita oltre la cortina del sipario.
Non appena però ci sediamo in zazen, cade il trucco delle illusioni, e riscopriamo finalmente chi c’è dietro la maschera, per vivere una vita in diretta, seguendo la canzone inedita e misteriosa di una libertà ritrovata.

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