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Apprendere lo Zen è un po’ come imparare a cucinare da una vecchia nonna.

“Quindi tu vorresti imparare a maneggiare la spada sotto la mia guida?!” chiese a sua volta lo spadaccino esperto Banzo, rispondendo al giovane Matajuro che gli espresse l’intenzione di diventare suo discepolo “Ti mancano i requisiti fondamentali!” “Ma se lavoro sodo, quanto tempo mi ci vorrà per diventare un maestro?” incalzò il giovane “Il resto della tua vita!” “Non posso aspettare tanto! Se mi accetti come tuo discepolo, sono disposto a qualunque fatica!” “Allora, forse, basteranno dieci anni!” “Mio padre si sta facendo vecchio e presto dovrò prendermi cura di lui. Se praticherò ancora più assiduamente, quanto mi ci vorrà?” “Beh, in questo caso, forse ce la farai in trent’anni” “Ma come!!” sbottò Matajuro “Prima hai detto dieci anni, ora invece trenta!! Ti prego!! Farò qualsiasi cosa pur di imparare la tua arte nel tempo più breve!!” “Bè” rispose allora Banzo “allora dovrai restare con me settant’anni! Un uomo che ha tanta fretta di ottenere dei risultati raramente impara alla svelta!”

Come per altre religioni, apprendere lo Zen è un po’ come imparare a cucinare da una vecchia nonna. Non esistono ricette, non esistono dosi consigliate e misurini, e non è garantita una replicabilità perfetta dei test che possono venire eseguiti in fase di apprendimento; la farina si aggiunge a pugni, il sale si sparge a pizzichi, le patate e la salsa di pomodoro si versano quanto basta nella pentola in cui verranno cotte. Si adottano misure che possono essere flessibili al tempo e alla circostanza, e ogni pietanza si apprende seguendo attentamente l’esempio della persona più esperta, osservando le sue mani nodose muoversi agili nella pasta e, giorno dopo giorno, facendo esperienza di tutti i trucchi e i piccoli accorgimenti.
Diversamente dai procedimenti spiegati nei libri, quello che conta, oltre che i passaggi, è la passione che la persona riesce a trasmetterti, l’armonia che si crea nel luogo, la famigliarità con gli ingredienti. Fino a quando il giovane allievo non riesce, mischiando gli ingredienti e tirando la pasta, a chiudere gli occhi e a sentire gli stessi odori, gli stessi sapori e le stesse sensazioni della nonna che lavora, riuscendo così a servire un piatto sopraffino.
La pratica Zen è un’avventura tutta umana, che vive di rapporti tra persone, da quello tra maestro e discepolo a quello del praticante con il sangha, e che necessita di un’apertura che va oltre alla pazienza; essa vive del dialogo come punto di partenza per scoprire sé stessi, un dialogo che comincia con il metterci davanti i nostri limiti e da essi, partire alla scoperta del mondo autentico che sta fuori dal recinto delle nostre idee e dei nostri interessi.

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